Nelle collezioni della biblioteca, editoria d'altri tempi e letture ancora attuali.
Pubblicato il 21 novembre 2025
La traduzione italiana di “Off limits für das Gewissen”, pubblicata da Einaudi nel 1962, affronta la questione dell’impatto psicologico e morale delle armi nucleari non solo sulle vittime, ma anche su coloro che le progettano, le impiegano o ne accettano l’uso. Dal 1945, la letteratura scientifica ha analizzato in modo minuzioso gli effetti fisici delle bombe atomiche, ma ha trascurato un aspetto decisivo: queste armi colpiscono anche la coscienza di chi le maneggia. Non si tratta di danni materiali, bensì di un peso psichico e spirituale che destabilizza individui e società, generando una contraddizione insanabile tra i valori che si intendono difendere e i mezzi scelti per farlo.
Claude Robert Eatherly, pilota coinvolto nella missione di Hiroshima, incarna questa crisi morale. A differenza dei suoi compagni, Eatherly non rimuove il ricordo dell’evento, ma lo vive come colpa, cercando l’espiazione attraverso gesti disperati: invii di denaro alle vittime, tentativi di suicidio, piccoli reati volti ad attirare l’attenzione. La sua vicenda rivela la fragilità di un sistema che celebra l’eroismo bellico e, al contempo, considera follia il pentimento. Mentre Eatherly viene internato e trattato come malato, la società normalizza la corsa agli armamenti, introduce il concetto di “megadeath” e accetta come razionale la minaccia di sterminio di massa.
Nella prefazione all’edizione inglese, Bertrand Russell osserva che il mondo era pronto a onorare Eatherly per la sua partecipazione al massacro, ma quando egli si pentì lo punì, vedendo nel suo rimorso una condanna implicita della follia collettiva. Russell sottolinea che Eatherly fu dichiarato pazzo non per una reale malattia, ma per aver osato risvegliare la coscienza degli uomini. Tale riflessione evidenzia la contraddizione di un’epoca che premia la violenza e marginalizza la responsabilità morale.
In questo contesto, il dialogo tra Eatherly e il filosofo Günther Anders assume un valore straordinario. Dove falliscono le terapie mediche, la riflessione etica e il confronto intellettuale restituiscono senso e speranza. Anders interpreta il dramma individuale come sintomo di una malattia collettiva: la follia atomica elevata a ragione di Stato. Il carteggio diventa così un atto di resistenza morale, capace di illuminare la condizione di una società che ha smarrito i propri fondamenti etici.
Pubblicato nel 1930 dalla Libreria editrice Grazzini di Pistoia, "Donne luce d’Italia" è un’opera in un certo senso pionieristica, che offre un ampio panorama della letteratura femminile italiana contemporanea raccogliendo i profili di cinquecento autrici, dalle più celebri alle meno note. Il libro nasce da un intento dichiaratamente affettuoso e militante: rendere visibile e riconoscere il valore delle donne che scrivono, in un’epoca in cui la loro voce è spesso marginalizzata o ignorata. Gastaldi si pone come fratello e alleato, scegliendo di includere nella rassegna anche le scrittrici meno affermate per dare loro spazio e dignità, convinto che ogni contributo, anche il più umile, concorra alla costruzione di un mondo letterario ricco e variegato. L’opera si articola in due parti: la prima dedicata a nove figure rappresentative, la seconda come resoconto più ampio e sistematico dell’attività letteraria femminile. La prefazione, appassionata e ironica, difende con forza il “fenomeno scrittrice” contro le critiche superficiali e le negazioni ideologiche, sottolineando le difficoltà materiali e morali che le donne affrontano per scrivere, spesso in condizioni di doppia vita tra impegni domestici e aspirazioni artistiche. Come osserva Gastaldi, «le donne che scrivono hanno una duplice vita: perché quella della donna (moglie, madre, massaia) ne cela un’altra: quella dell’artista! Due donne in una, e si tiranneggiano reciprocamente». L'autore dedica ampio spazio anche al teatro, rivendicando la capacità delle donne di affrontare con sensibilità e coraggio un genere tradizionalmente dominato dagli uomini. Con uno stile diretto e coinvolgente, l’autore costruisce un’opera che è insieme saggio critico, documento storico e gesto di solidarietà culturale: «Io mi metto con le mie modeste forze, dalla parte della critica costruttiva, non dalla parte della critica negativa. Perché da quella parte c’è più giustizia, più umanità, più bontà, più fede: elementi questi che aiutano a vivere, e a fare». Siamo in Italia, ed è il 1930. (11 novembre 2025)
L’occasione della biografia di Danilo Dolci offre lo spunto per riprendere un’altra opera di Aldo Capitini, particolarmente adatta al sentimento di questi primi giorni di novembre. Si tratta di un saggio che interroga il rapporto tra vita e morte e riflette sul senso di una comunità capace di oltrepassare i confini temporali. Pubblicato nel 1966, il testo introduce la categoria della compresenza: una visione che trasforma la morte da limite invalicabile a varco e ripensa la società come comunità aperta, inclusiva, orientata alla giustizia, alla nonviolenza e alla produzione di valori.
Capitini smonta il tradizionale culto funebre, spesso ridotto a rituali di separazione, e propone un gesto rivoluzionario: considerare chi è scomparso non come assenza, ma come centro di valore. Da questa prospettiva nasce un atteggiamento attivo, che trasforma il saluto in un atto universale, oltre ogni appartenenza, e apre alla costruzione di una società più giusta e solidale.
Nella seconda parte, l’autore amplia la prospettiva affrontando il tema del ritorno come simbolo di liberazione radicale: non un mito consolatorio, ma un’immagine che richiama la fine di ogni oppressione e l’apertura a una realtà più giusta e inclusiva.
Questo non è un saggio di meditazione religiosa, o almeno non solo: è una proposta di trasformazione civile. Capitini lega la categoria della compresenza alla democrazia aperta e alla nonviolenza, indicando che la lotta contro guerra e oppressione deve accompagnarsi a una rivoluzione interiore, capace di includere tutti.
«Bisogna esprimere costantemente l’opposizione alla realtà che dà la morte, come in politica bisogna essere per la rivoluzione aperta permanente» (op. cit., p.269) [31 ottobre 2025]
Nel 1958, Aldo Capitini, filosofo della nonviolenza e spirito inquieto della democrazia italiana, pubblica un saggio che è molto più di una biografia: è un atto di militanza intellettuale, una dichiarazione di guerra (pacifica) contro l’inerzia istituzionale. Ne è protagonista Danilo Dolci, architetto mancato e costruttore di coscienze, che abbandona il Nord per piantare radici nella Sicilia più dimenticata, quella dei disoccupati, delle strade fangose e delle promesse costituzionali non mantenute.
Dolci non si limita a denunciare: si sporca le mani, letteralmente. Lo “sciopero alla rovescia” è il suo manifesto: insieme a un gruppo di braccianti, sistema una trazzera abbandonata, sfidando lo Stato con vanghe e dignità. Capitini osserva e racconta, con la lucidità di chi sa che la nonviolenza non è passività, ma una forma superiore di resistenza. E quando Dolci afferma che "non assicurare un lavoro a questa gente è un assassinio", il filosofo non si limita a difenderlo: rilancia, spiegando che quelle parole sono "verissime", perché pronunciate da chi ha scavato fino alle radici della miseria.
Il libro è anche un catalogo delle reazioni scomposte del potere: processi, diffamazioni, ritiro del passaporto. Il governo italiano appare più interessato a controllare e colpire chi solleva problemi sociali, piuttosto che affrontare concretamente le condizioni di disagio e ingiustizia denunciate. E così Dolci diventa "sorvegliato speciale", ma non si ferma. Riceve il Premio Lenin per la pace; i fondi vengono interamente destinati alla creazione di un centro studi per la piena occupazione, senza alcun compromesso ideologico o personale, a dimostrazione del fatto che l’impegno sociale può essere sostenuto anche con risorse provenienti da contesti diversi, purché utilizzate con integrità.
Capitini, con stile sobrio e affilato, ci consegna un ritratto che è anche una provocazione: possibile che in un Paese che si proclama fondato sul lavoro, chi lo reclama venga trattato da sovversivo? Il saggio non chiude la parabola di Dolci, ma ne illumina il punto di svolta. Nei decenni successivi, l’attivista continuerà a scavare, non più trazzere ma coscienze, lasciando un’eredità che ancora oggi interroga chi crede che la giustizia sociale sia una questione di metodo, e non di slogan. (27 ottobre 2025)
... nel catalogo della biblioteca "Bigiavi"
Senza dubbio la biografia di riferimento. La biblioteca ne possiede la versione aggiornata al centenario della nascita.
Filosofo, pedagogista e attivista politico, è stato il principale teorico italiano della nonviolenza. Antifascista, fondò il Movimento Nonviolento e promosse una democrazia etica basata sulla partecipazione dal basso, la libertà religiosa e l’obiezione di coscienza.
(Camberley 1903 - Cambridge 1983)
La prima grande economista della storia del pensiero economico moderno
"I never learned math, so I had to think"
"Economics limps along with one foot in untested hypotheses and the other in untestable slogans"
In The Accumulation of Capital (1956), Joan Robinson, figura di spicco della Cambridge School e del pensiero post-keynesiano, amplia la teoria keynesiana dell’occupazione e dell’investimento, applicandola al lungo periodo per analizzare la dinamica dell’accumulazione e della crescita capitalistica. L’autrice esamina il rapporto tra investimento, profitti, distribuzione del reddito e progresso tecnico, sottolineando l’instabilità intrinseca dei processi di crescita e negando l’esistenza di un equilibrio automatico di lungo periodo, come postulato dalla teoria neoclassica.
Robinson critica le impostazioni classiche e neoclassiche, proponendo una teoria dell’accumulazione basata sulle decisioni di investimento degli imprenditori e sulle loro aspettative di profitto. La distribuzione del reddito, in particolare la quota destinata ai profitti, determina il ritmo dell’accumulazione e influenza la traiettoria di sviluppo. L’economia capitalistica è descritta come un processo dinamico che attraversa fasi di espansione, maturità e stagnazione, limitato dalla domanda effettiva.
Nell’ultima parte, l’autrice estende la sua analisi al piano internazionale, evidenziando le asimmetrie tra economie sviluppate e paesi in via di sviluppo. L’opera costituisce un punto di riferimento della teoria della crescita post-keynesiana, integrando elementi di Keynes, Marx, Kalecki e Sraffa in una visione critica del capitalismo come sistema evolutivo e instabile. (16 ottobre 2025)
La figura e il pensiero di Joan Violet Robinson
Il pensiero e la vita dell'economista inglese con l'elenco delle sue opere e altre fonti utili per un approfondimento. (The history of economic thought)
Opere di Joan Robinson nel catalogo del polo bolognese
Libri nel catalogo del polo bolognese che parlano di Joan Robinson
Professor Maria Cristina Marcuzzo on "Joan Violet Robinson: The Beacon of Cambridge Economics"
On 11 November 2024, The Joan Robinson Society at Girton College held the second Joan Robinson Workshop, featuring Professor Maria Cristina Marcuzzo speaking on "Joan Robinson: The Beacon of Cambridge Economics."
Professor Eatwell will discuss the extraordinary creative career of Joan Robinson. A disruptive influence in Economics!
Professor Eatwell has taught Economics at Cambridge since 1970. His first book, An Introduction to Modern Economics, was co-authored with Joan Robinson. His work since has focussed on economic theory, international macro-economics and financial regulation. He is the President of Queens’ College.
Questo volume di Luigi Clavari e Severino Attili ("Segretari al Ministero delle Poste e dei Telegrafi"), pubblicato da Laterza nel 1905, è un'opera monumentale che - intrecciando storia, tecnica, società e politica in un racconto coeso e ricco di riferimenti culturali - ripercorre l’evoluzione della posta dalle origini mitiche e storiche (con messaggeri divini e corrieri delle antiche civiltà) fino alla sua istituzionalizzazione negli Stati moderni. Dopo la frammentazione seguita alla caduta dell’impero romano, questa forma di comunicazione fu mantenuta viva da Chiesa, ordini religiosi, università e mercanti. Nel Rinascimento, la famiglia Tasso creò un sistema postale europeo che ispirò le reti statali. Con l’avvento dei servizi pubblici e l’introduzione del francobollo, la posta divenne accessibile a tutti, segnando una svolta epocale nella storia della comunicazione.
Gli autori dedicano ampio spazio alle relazioni internazionali, raccontando la nascita dei congressi postali, la creazione dell’Unione Postale Universale e la progressiva armonizzazione dei servizi tra i vari paesi. Parallelamente analizzano i mezzi di comunicazione: dai corrieri a piedi e a cavallo ai veicoli, dalle ferrovie alla navigazione marittima, fino al telegrafo, al telefono e alla radio. L’invenzione di Guglielmo Marconi viene celebrata come trionfo della scienza al servizio della pace e della comunicazione universale.
La parte finale del libro è dedicata alla posta contemporanea (fine XIX secolo), ne descrive il funzionamento interno, il percorso delle lettere, il ruolo degli uffici locali, l’impatto sul commercio, il risparmio e il credito postale. Si evidenzia anche il contributo delle donne, con esempi di direttrici e impiegate che hanno segnato la storia del servizio.
Infine, la narrazione si focalizza sulla posta italiana, dalla promulgazione dello Statuto al consolidamento post-unitario. Viene raccontata l’unificazione del servizio, la posta militare durante le guerre d’indipendenza, le riforme amministrative e ministeriali, fino al momento presente (il 1905), in cui la posta è vista come simbolo di progresso, giustizia e coesione sociale. (13 ottobre 2025)
Eccone alcune (clic sulla lente per ingrandirle).
Nel contesto attuale, segnato da conflitti regionali persistenti, instabilità geopolitica e crescenti tensioni economiche globali, il pensiero di William Beveridge sulla costruzione di un ordine internazionale stabile nel secondo dopoguerra si rivela sorprendentemente attuale.
Nel volume "Il prezzo della pace" (1945), fin dall’introduzione, egli chiarisce che - per dare senso ai sacrifici della guerra - è necessario garantire tre condizioni: una pace sicura e duratura, la possibilità per ogni individuo di lavorare, e un reddito sufficiente per vivere dignitosamente. Questi obiettivi, presentati in ordine di difficoltà crescente, riflettono una visione integrata della giustizia sociale e della stabilità internazionale.
Beveridge non propone un piano operativo, ma una valutazione del “prezzo” della pace. Egli sostiene che la pace, come ogni bene prezioso, richiede sacrifici: deve essere “pagata” dalle nazioni potenti e ricche, non solo in termini di risorse, ma anche attraverso la rinuncia a interessi egoistici. La pace implica l’esercizio del potere per il bene comune e la diffusione della ricchezza tramite cooperazione economica. Come scrive Beveridge, “l’egoismo negli affari internazionali è una via che conduce con sicurezza alla distruzione reciproca”.
Pur dichiarando di non possedere una competenza specialistica in materia di relazioni internazionali, l'autore costruisce le sue argomentazioni attraverso un ampio studio delle fonti e una riflessione etico-politica. Egli insiste sul ruolo delle democrazie, ritenute le uniche capaci di garantire una pace duratura grazie alla loro trasparenza e responsabilità. La pace, dunque, non è mera assenza di guerra, ma un sistema attivo di relazioni fondato su giustizia, cooperazione e responsabilità condivisa.
William H. Beveridge (1879–1963) è stato un economista e riformatore sociale britannico, noto soprattutto per il suo ruolo nella progettazione del moderno stato sociale. La sua opera più influente, il "Beveridge Report" del 1942, ha posto le basi per il sistema di welfare nel Regno Unito, promuovendo la lotta contro i “cinque mali” sociali: povertà, malattia, ignoranza, squallore e disoccupazione.
19 settembre 2025
"Usando la violenza, noi rinneghiamo necessariamente i valori che sono la nostra ragione di vivere e ne ritardiamo indefinitamente la propagazione e la fioritura." Andrea Caffi
Prezzolini così lo descrive:
"Arrivava all'improvviso, non si sapeva da che parte del mondo, con gli abiti sgualciti e l'aria di avere un grande appetito... e scompariva allo stesso modo, senza che si sapesse perché né per dove. Da per tutto portava la sua gentilezza, un'aria d'innocenza, un enorme fascio d'erudizione che slegava e da cui traeva regali a qualunque richiesta..."
Intellettuale poco conosciuto ma centrale nella storia del socialismo italiano e russo, pensatore originale e irriducibile a schemi ideologici precostituiti, la sua originalità stava nel pensiero “socratico”, che privilegiava il dialogo e l’esperienza umana concreta al dogmatismo e ai sistemi teorici. Per i suoi amici, come Chiaromonte, la sua grandezza risiedeva soprattutto nell’essere un uomo giusto e capace di pensare con gli altri e per gli altri.
Il volume "Critica della violenza" di Andrea Caffi, pubblicato per la prima volta nel 1966 da Bompiani, raccoglie saggi scritti dall'autore negli anni '40 che riflettono sulla violenza, in particolare quella cosiddetta "rivoluzionaria", e sui rischi enormi del suo impiego. Caffi analizza la violenza da una prospettiva critica e pacifista, sostenendo che un movimento che voglia assicurare libertà, pace e giustizia non può utilizzare mezzi violenti organizzati come insurrezioni armate, guerre civili o internazionali, dittature o terrore, perché tali mezzi sono inefficaci e conducono a risultati opposti alle finalità desiderate. Egli denuncia come le rivoluzioni violentemente imposte finiscano spesso per produrre nuovi regimi oppressivi, tradendo così le speranze più autentiche dei popoli.
Il libro propone dunque una riflessione sulla nonviolenza come unica strategia coerente per un cambiamento sociale autentico, soprattutto alla luce della capacità di distruzione e dell'orrore della violenza moderna.
9 settembre 2025
Il libro di Tommaso Giacalone-Monaco è un'analisi della vita e del pensiero di Antoine Augustin Cournot, matematico, filosofo ed economista francese del XIX secolo. L'opera, che ha un carattere biografico-aneddottico, si concentra sul contributo di Cournot all'economia, in particolare sulla sua figura di pioniere dell'applicazione della matematica alle teorie economiche. Il suo lavoro più noto in questo campo è "Recherches sur les principes mathématiques de la théorie des richesses" (1838), considerato una pietra miliare nello sviluppo della microeconomia.
Tuttavia, l'obiettivo principale dell'autore non è tanto quello di analizzare a fondo il pensiero di Cournot, ma piuttosto di mettere in luce la personalità dell’economista anche con il racconto di alcuni aneddoti della sua vita. “Fra gli aneddoti citati dal Giacalone, alcuni illuminano in modo vivace o toccante la figura di Cournot, come ad esempio il suo souvenir della visita a Roma o quello nel quale l'economista prende lo spunto dalla messa al macero di un rilevante numero di copie delle sue opere per illustrare le caratteristiche del mercato librario!” (Duchini, 1960).
Giacalone-Monaco, Tommaso. Antonio Agostino Cournot l’uomo e l’economista. Padova: CEDAM, 1956
Adet. Giornale Degli Economisti e Annali Di Economia 15, no. 11/12 (1956): 623–623
Duchini, F. Rivista Internazionale Di Scienze Sociali 31 (Anno 68), no. 5 (1960): 491–92
In occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione, una selezione di alcuni volumi del catalogo "Bigiavi"
Saggio pubblicato nel 1969 a cura della deputazione Emilia-Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di Liberazione. Comprende numerose riproduzioni di manifesti e documenti.
Il volume contiene anche il primo manifesto del Sindaco Giuseppe Dozza.
La storia della 63a brigata "Bolero", "in larga parte la vita e la morte del suo comando di brigata, più volte distrutto e sempre risorto con più tenacia e risolutezza nel combattere la lotta antifascista".
Il libro, che contiene molte immagini e quattro disegni di Mario Nanni, è uscito nel 1965 per le Edizioni Alfa di via Santo Stefano 13.
Porta Lame nell'inverno 1944-45.
Il bombardamento di Bologna del 25 settembre 1943. Il volume fa parte della collana "Il servitor di piazza. Storia, costumi e tradizioni".
Tra i capitoli più interessanti di questo saggio del 1965: "Pulsate et aperietur vobis: memorie dalle case italiane ove si parlava forestiero". "Se (...) organizzazioni vere e proprie per favorire la fuga ai prigionieri alleati dai campi di concentramento non esistevano (...) ne furono create appositamente per assisterli e porgere loro tutto l'aiuto possibile."
Didascalia originale: "Le prime lusinghe naziste per indurre gli italiani a denunciare i prigionieri alleati. A Modena il manifesto comparve nella prima metà del settembre 1943".
"Il movimento di Liberazione a Ravenna", a cura di Luciano Casali. Pubblicato sotto l'egida del Comitato per le Celebrazioni del XX annuale della Resistenza Ravenna.
Giornali clandestini stampati nella provincia di Ravenna.
Tra i contributi di questa raccolta di saggi del 1976: "L'attività economica del CLN", "La liberazione del forlivese", "La repubblica di Montefiorino".
Questo volume del 1995 si distingue per "l'apertura della ricerca alle nuove tematiche del sociale e del vissuto quotidiano" e per il conseguente ampliamento dell'apparato documentario.
Una pubblicazione dell'ANPI in occasione del sessantennale.
Bologna 26 luglio 1943. I cittadini bruciano le foto del dittatore davanti al Palazzo del Podestà.
Un volume del 1957 sulla lotta sostenuta dalla 28a Brigata Garibaldi per la liberazione di Ravenna.
Dedica e citazioni per il libro di Guido Nozzoli uscito nel 1957 per Editori Riuniti.
Una rassegna di alcuni titoli dell'autore del Manifesto di Ventotene posseduti dalla "Bigiavi"
1957. Spinelli, che è tra i più convinti e preparati assertori dell'idea di un'Europa federata, traccia, in questo volumetto della « Clandestina », le possibili linee — politiche, economiche, giuridiche, sociali — del futuro volto degli Stati Uniti d'Europa.
"La collana la chiamiamo "Clandestina" perché a niente, come a ciò che è libero e spregiudicato, il mondo odierno minaccia vita difficile, clandestina insomma".
1960. Questo libretto non è stato scritto per compiacere questa o quella corrente politica prevalenti nel mondo. Esso è più severo verso quella cui mi sento legato ed al cui successo vorrei contribuire, ma mipermetto di dire, come lo storico Dahlmann, che "lo mando nel mondo con la speranza che dispiaccia a tutte le sette politiche". (dalla Prefazione)
1965. Il libro analizza il funzionamento pratico delle Comunità europee, prestando particolare attenzione alle relazioni sociali e politiche tra l'amministrazione europea a Bruxelles e i centri di potere negli Stati membri.
1968. "I capitoli di questo libro trattano di alcune cose accadutemi, viste, sentite o meditate durante la mia prigionia politica" (dall'Introduzione).
1983. E' assai probabile che la mia età avanzata non mi consentirà di accompagnare ancora per molto tempo questa azione. Ma quando rifletto che oggi il primo, Parlamento europeo eletto sarebbe assai diversa cosa da quel che è, se non avesse assunto il ruolo costituente di cui vi ho parlato, e quando penso che tutta la mia ormai lunga vita di partigiano europeo è sboccata questa azione, non posso fare a meno di mormorare e me stesso con una tal fierezza le parole di San Paolo: bonum certamen certavi, cursum consummavi.
1985. Due saggi — Gli Stati Uniti d'Europa e le varie tendenze politiche, e Politica marxista e politica federalista — insieme al Manifesto, costituiscono il nucleo centrale del progetto europeo di Spinelli. Questo si è via via arricchito con nuove riflessioni sulla natura delle costituzioni federali, sui tentativi di realizzare l'unità europea, sul ruolo del Movimento Federalista Europeo nella battaglia per l'unificazione del vecchio continente.
1989. Come ha osservato Norberto Bobbio nel suo saggio «Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza», ciò che distingue in modo nettissimo l'approccio di Spinelli al federalismo europeo è l'impegno a trasferire l'idea della federazione europea sul terreno dell'azione, a trasformarla, cioè, in azione politica.
1989. Altiero Spinelli dedicò la sua vita alla causa dell'unità europea, documentando la sua lotta dal 1948 al 1969 in un diario. Questo volume raccoglie le sue esperienze, incontri e riflessioni durante i momenti più difficili della battaglia per un'Europa unita. Ne seguono altri due, che raccontano gli anni 1970-1976 e 1976-1986.
1996. Nel settembre 1944 Spinelli rientrò in Italia dalla Svizzera aggregandosi al gruppo dirigente milanese del Partito d'azione; dai documenti politici, dagli articoli e anche dalle lettere a Ernesto Rossi ritrovati da Graglia emerge il ruolo fondamentale giocato da Spinelli e dalla sua visione federale e transnazionale nell'elaborazione delle posizioni dell'azionismo "di sinistra".
2004. L'evoluzione dell'idea di un'Europa unita, dal celebre Manifesto di Ventotene fino all'espansione dell'Unione Europea a 25 membri. Il volume comprende, tral'altro, un contributo di Norberto Bobbio, la postfazione di Romano Prodi e l'intervista a Spinelli di Sonia Schmidt.