Nelle collezioni della biblioteca, editoria d'altri tempi e letture ancora attuali.
Pubblicato il 28 agosto 2025
Pubblicato in Francia in un momento cruciale della storia mondiale, "Le Président Wilson" di Daniel Halévy offre un contributo rilevante alla comprensione del pensiero politico e dell’azione diplomatica del ventottesimo presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson. L’edizione italiana, apparsa nel 1919 con il titolo "Wilson e la democrazia americana", si colloca nel contesto immediatamente successivo alla Prima guerra mondiale, quando l’Europa guardava con crescente attenzione al modello democratico statunitense e al ruolo degli USA nella definizione di un nuovo assetto internazionale.
Halévy propone un ritratto che supera la dimensione biografica, affrontando la figura di Wilson con urgenza analitica e intensità interpretativa. Come egli stesso osserva nella nota introduttiva, l’accelerazione degli eventi impone uno studio rapido, “quasi improvvisando”; tuttavia, questa scelta metodologica è sostenuta da una solida documentazione e da una notevole finezza critica.
Wilson è presentato come emblema della democrazia americana, incarnazione di un ideale politico e morale messo alla prova dalle sfide del mondo moderno. Halévy ne evidenzia la tensione tra principi etici e necessità pragmatiche, in particolare nella sua visione di una pace universale fondata sulla cooperazione internazionale e sulla Società delle Nazioni. Tale prospettiva è interpretata come espressione di una profonda fiducia nella razionalità politica e nella moralità pubblica.
Il profilo del presidente è costruito attraverso fonti autorevoli, tra cui le biografie di Henry Jones Ford e H. Wilson Haries, e arricchito da materiali provenienti dalla Camera di Commercio Americana e dagli archivi della Maison de la Presse. Questi contributi permettono ad Halévy di delineare Wilson come intellettuale prestato alla politica, capace di visioni lungimiranti ma talvolta irrigidito da una coerenza dottrinaria non sempre conciliabile con le esigenze del governo.
L’interesse dell’autore non è esclusivamente storico: Wilson diventa il simbolo di una democrazia che tenta di armonizzare etica e potere, ideali e compromessi. Il libro si configura così come una riflessione profonda sul ruolo del leader democratico in tempi di crisi e sul rapporto tra personalità e istituzioni.
Daniel Halévy (1872–1962) è stato uno storico e saggista francese, noto per il suo stile incisivo e per l’attenzione alle dinamiche politiche e culturali della modernità. Tra le sue opere più importanti si ricordano "Essai sur l’accélération de l’histoire" (1948), in cui analizza il ritmo crescente del cambiamento storico, e le biografie di figure centrali come "La vie de Frédéric Nietzsche" e "La vie de Jules Michelet". (28 agosto 2025)
L'edizione 1962 di "Lenin buonanima" posseduta dalla biblioteca fa parte della collana "Opere complete di Curzio Malaparte", pubblicata dall'editore fiorentino Vallecchi. In anni recenti Adelphi ha riproposto il saggio - apparso per la prima volta a Parigi nel 1932 - con il titolo "Il buonuomo Lenin".
Si tratta di una delle più originali e controverse interpretazioni del leader bolscevico. Lontana tanto dall'agiografia sovietica quanto dalla demonizzazione occidentale, l'opera si propone di restituire un’immagine dissonante e profondamente europea del rivoluzionario russo.
Fin dalle prime pagine, Malaparte smonta la “fosca leggenda” che ha trasformato Lenin in un “mostro assetato di sangue, un Gengiskan proletario sbucato dal fondo dell’Asia” e denuncia l’ipocrisia della borghesia occidentale, che ha bisogno di “ricacciarlo al di là delle frontiere dello spirito borghese” per placare i propri rimorsi. Ma, si chiede l’autore, “son proprio sicuri che Lenin non sarebbe mai potuto nascere sulle rive dell’Hudson o del Tamigi, della Senna o della Sprea?”
Lenin, secondo Malaparte, non è un barbaro asiatico, ma un “europeo medio”, un “buonuomo dal fanatismo dottrinario, dalla volontà astratta”, un “funzionario puntuale e zelante del disordine”. La sua figura è quella di un piccolo borghese travolto dalla storia, “un bibliotecario in mezzo a una sommossa”, il cui fanatismo razionale rappresenta il tratto più inquietante della modernità europea.
L’autore afferma che “la storia rivoluzionaria di questi ultimi tre secoli non è se non la storia degli incendi appiccati in Europa dal fanatismo piccolo borghese”, e individua in Lenin non un’eccezione, ma un prodotto coerente di quella stessa civiltà che pretende di rinnegarlo. “Per diventare ciò che si chiama un mostro, la condizione indispensabile è di essere un piccolo borghese.”
Scritto tra Mosca e Parigi negli anni 1929-1932, e basato su fonti bolsceviche e testimonianze dirette, "Lenin buonanima" è un’opera che sfida le categorie ideologiche e invita a una riflessione profonda sulla genealogia del potere rivoluzionario. (8 agosto 2025)
Tra gli scaffali della biblioteca che raccolgono le biografie più datate, c'è anche questa dedicata nel 1968 a Curzio Malaparte. Nell'introduzione Giampaolo Martelli osserva che lo scrittore fu "un causeur inesauribile, ma imprevedibile", animato da una "passionalità, esuberanza di temperamento e spirito polemico" che lo portarono a vivere la letteratura come "proiezione, quasi come sfogo, delle passioni, degli umori, delle rabbie". La sua scrittura, anche nei saggi storico-politici, è profondamente autobiografica: "Al centro della narrazione di Malaparte balza sempre fuori – e prepotentemente – il suo “io”", scrive Martelli, sottolineando come l’autore non fosse guidato dalla logica, ma dall’istinto. Questo approccio si riflette chiaramente nel ritratto di Lenin, dove l’analisi storica si intreccia con una visione etico-estetica della rivoluzione e della borghesia. Malaparte, secondo Martelli, fu coerente non con un’ideologia, ma con una "morale che coincideva con una concezione estetica", e in questo senso Lenin buonanima rappresenta una delle espressioni più emblematiche della sua visione del mondo: lucida, provocatoria, e profondamente personale. (8 agosto 2025)
Il primo agosto 2025, la Camera ha approvato il decreto “ex Ilva”, finanziando la continuità produttiva e la sicurezza degli impianti di Taranto. Alla luce del recente e rinnovato dibattito politico e istituzionale questo volume di Salvatore Romeo, pubblicato dall’editore Donzelli nel 2019, si propone come un efficace strumento critico per comprendere la lunga parabola della siderurgia italiana e il suo impatto su una città simbolo del Mezzogiorno industriale.
“L’acciaio in fumo” offre una ricostruzione storica articolata della parabola dell’Ilva di Taranto, dalla sua fondazione nel secondo dopoguerra fino alle più recenti crisi ambientali e industriali. L’autore adotta un approccio multidisciplinare che intreccia storia economica, sociale, urbana e ambientale, con l’obiettivo di analizzare non solo l’evoluzione dello stabilimento siderurgico, ma soprattutto l’interazione profonda e conflittuale tra la fabbrica e il contesto urbano e sociale che la ospita. Contrariamente alla narrazione dominante che descrive il rapporto tra Taranto e l’Ilva come una dinamica unidirezionale di sopraffazione, Romeo insiste sulla natura dialettica di tale relazione: “Questa è […] la storia di un rapporto, o meglio di un’interazione”.
Uno dei concetti chiave del volume è infatti la definizione del siderurgico come “medium” — ovvero come strumento di trasmissione e trasformazione — che ha contribuito a integrare Taranto nel sistema economico nazionale e globale. Romeo scrive: “Il siderurgico […] è stato un potente medium che ha rafforzato l'integrazione di Taranto nello scenario nazionale e globale, sollecitandone la modernizzazione e, al contempo, ponendo problemi di grande portata.” Questa duplicità — progresso e crisi — è al centro della narrazione. L’impianto siderurgico non è solo un luogo di produzione, ma un dispositivo che ha ridefinito la geografia urbana, le relazioni sociali e le dinamiche politiche locali. La modernizzazione, tuttavia, non è stata neutra: ha generato squilibri, conflitti e forme di dipendenza economica che Romeo definisce “integrazione subalterna”.
Attraverso l’analisi di fonti d’archivio e testimonianze orali, il libro attraversa le trasformazioni economiche e politiche che hanno accompagnato l’industrializzazione del Mezzogiorno, la crisi della siderurgia pubblica, la privatizzazione e l’“era Riva”, fino all’emergere del conflitto ambientale e sanitario. Il saggio si distingue per la capacità di restituire la complessità di un caso emblematico della modernizzazione italiana, evitando semplificazioni e proponendo una narrazione storica fondata su rigore metodologico e sensibilità critica. (1 agosto 2025)
Martha Beatrice Potter Webb è stata una figura centrale nello sviluppo della sociologia applicata e dell’economia sociale nel Regno Unito. Cofondatrice della London School of Economics e membro influente della Fabian Society, Webb ha contribuito in modo significativo alla riflessione teorica e alla progettazione di politiche pubbliche orientate alla giustizia sociale.
Nella biblioteca di Discipline economico aziendali W. Bigiavi sono presenti alcune delle sue opere fondamentali, alcune scritte in collaborazione con il marito Sidney James Webb, importante studioso e politico britannico. Proponiamo qui due opere che permettono un primo approccio al pensiero e alla vita di Beatrice Webb.
Beatrice Webbʼs Diaries: 1912–1924, volume curato da Margaret I. Cole con introduzione di Lord Beveridge, figura chiave del welfare britannico, raccoglie una selezione dei diari personali di Beatrice Webb. Nel diario, Webb riflette su eventi storici cruciali come la Prima Guerra Mondiale, le trasformazioni del Partito Laburista e le sue osservazioni sul sistema sovietico emergente. Il tono è personale ma acuto, e rivela tanto il pensiero politico quanto le dinamiche private e intellettuali che hanno influenzato il suo lavoro. Un’opera fondamentale per chi studia la storia del pensiero politico-sociale britannico, il welfare state e il ruolo delle donne nella riforma sociale.
Beatrice Webb: A Life, 1858–1943 di Kitty Muggeridge e Ruth Adam è una biografia completa e accessibile che ripercorre la vita e l’opera di Beatrice Webb. Attraverso uno stile narrativo coinvolgente, le autrici offrono un ritratto umano e politico di Webb, mettendo in luce sia la sua determinazione riformista sia le contraddizioni del suo pensiero. Dalla giovinezza nell’Inghilterra vittoriana fino al suo ruolo centrale nella fondazione della London School of Economics e nella Fabian Society, il volume esplora il suo impegno per la giustizia sociale, la collaborazione con Sidney Webb, e le sue riflessioni sul socialismo e sul sistema sovietico. (14 luglio 2025)
Alcuni suggerimenti bibliografici per approfondire
In "Prendi i soldi e scappa" Marco Onado, economista e divulgatore recentemente scomparso, ha saputo coniugare rigore analitico e accessibilità in un testo che si propone come guida critica alla comprensione della finanza contemporanea. Il volume si distingue per l’originale impianto narrativo che intreccia analisi economica e riferimenti cinematografici, utilizzati non come semplici citazioni illustrative, ma come veri e propri strumenti euristici per decifrare le dinamiche del sistema finanziario.
Nell’introduzione, Onado chiarisce il suo intento: entrare nel mondo della finanza attraverso una chiave di lettura inusuale, quella del cinema. La finanza, afferma, è una tecnocrazia potente, autoreferenziale e spesso inaccessibile, che esercita un’influenza quotidiana sulla vita di tutti, ma che si nasconde dietro una doppia cortina: la complessità tecnica e il linguaggio esoterico dei suoi adepti. Il cinema, invece, offre uno sguardo umano, popolare e immediato, capace di smascherare i meccanismi opachi del potere finanziario e di restituire alla finanza un volto fatto di carne, ossa e sentimenti. Come scrive Onado, i personaggi sullo schermo non sono veri, ma sono veri i sentimenti che li muovono: fiducia, speranza, avidità, paura, tensione tra bene e male.
Il titolo stesso è un omaggio al film di Woody Allen, che diventa metafora della leggerezza con cui spesso si affrontano temi gravi come la truffa e la manipolazione economica. Onado utilizza "La grande scommessa" di Adam McKay per spiegare la crisi dei mutui subprime e la miopia sistemica dei mercati, mostrando come l’asimmetria informativa e la deregolamentazione abbiano contribuito al collasso del 2008. In "Prova a prendermi" di Steven Spielberg, il protagonista incarna il tema della fiducia e della credibilità, elementi centrali anche nel funzionamento dei mercati finanziari, mentre "Gangster Story" di Arthur Penn diventa spunto per riflettere sul fascino ambiguo dell’illegalità legata al denaro. Persino "Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola viene evocato per rappresentare il caos sistemico che può derivare da una crisi finanziaria globale, in un parallelo tra guerra e collasso economico. "Essere o non essere" di Ernst Lubitsch e il suo remake di Mel Brooks sono richiamati per sottolineare come anche nei momenti più bui l’umorismo possa diventare uno strumento di resistenza e comprensione.
Il percorso si conclude con "Il dottor Stranamore" di Stanley Kubrick, esempio altissimo di satira politica contro le tecnocrazie armate e incontrollabili. Come scrive Onado, questo film è un classico che, come diceva Italo Calvino, “ci dice qualcosa di nuovo ogni volta che lo rivediamo”. È il punto di arrivo di un viaggio che, attraverso il comico e il grottesco, ci aiuta a comprendere la finanza come una medicina potente, ma non priva di effetti collaterali.
Attraverso questa galleria cinematografica, Onado costruisce un discorso che unisce cultura economica e cultura popolare, offrendo al lettore – anche esperto – una prospettiva originale e interdisciplinare. Il risultato è un testo che educa, stimola e invita a una riflessione critica sul ruolo della finanza nella società contemporanea. (8 luglio 2025)
Sono disponibili l'indice, un estratto del saggio e una rassegna stampa.
"Economia di guerra. Linee teoriche" di Carlo Ruini, pubblicato nel 1940, rappresenta un testo di riferimento per la letteratura economica dedicata all’analisi delle trasformazioni strutturali indotte dai conflitti bellici. Inserito nel contesto della Seconda guerra mondiale, Ruini propone un’analisi rigorosa delle politiche di mobilitazione delle risorse, della pianificazione economica e della gestione della produzione industriale in condizioni di crisi.
Il volume affronta temi quali la riconversione produttiva, il controllo statale sull’economia, la distribuzione delle risorse scarse e l’impatto sociale delle misure adottate in tempo di guerra. Esamina inoltre le implicazioni a lungo termine di tali trasformazioni sul sistema capitalistico, anticipando riflessioni poi sviluppate da altri studiosi del Novecento.
Le linee teoriche principali si concentrano sulla mobilitazione e pianificazione delle risorse produttive, essenziali per sostenere lo sforzo bellico e garantire la continuità della produzione industriale e agricola. Il controllo statale si traduce in una gestione diretta o regolata della produzione, distribuzione e consumo, necessaria per far fronte alle esigenze straordinarie imposte dal conflitto. Ruini analizza inoltre le dinamiche dell’inflazione e della finanza di guerra, evidenziando gli strumenti monetari e fiscali adottati e le loro conseguenze sull’intero sistema economico. Infine, il testo considera gli effetti sociali ed economici a medio e lungo termine, in particolare sulla struttura produttiva, sul mercato del lavoro e sulle dinamiche di consumo e risparmio.
Significativa è la riflessione sulla relazione tra economia e strategia militare, in cui Ruini sottolinea come l’efficace organizzazione delle risorse economiche costituisca una componente essenziale della strategia bellica.
"Storia dei referendum: dal divorzio alla riforma elettorale", di Anna Chimenti, pubblicato da Laterza nel 1993, è un’agile ma densa ricostruzione del ruolo che i referendum hanno avuto nella trasformazione politica, sociale e culturale dell’Italia repubblicana.
Attraverso un percorso che parte dal cruciale referendum sul divorzio del 1974 e arriva fino alle consultazioni sulla riforma elettorale degli anni ’90, Chimenti mostra come la democrazia diretta abbia inciso profondamente sulla vita pubblica italiana. Il volume non si limita a elencare date e risultati: racconta il clima politico, le campagne referendarie, le strategie dei partiti e le reazioni dell’opinione pubblica, offrendo così una lettura vivace e accessibile anche a chi non è specialista della materia.
Tra i temi affrontati figurano alcuni dei momenti più controversi e significativi della storia repubblicana: il referendum sull’aborto, quello sul nucleare dopo Chernobyl, le consultazioni sul finanziamento pubblico ai partiti, sulla caccia, sulla responsabilità civile dei magistrati e, infine, le riforme del sistema elettorale. L’autrice evidenzia come, in molti casi, anche solo la minaccia di un referendum abbia spinto il Parlamento ad agire, confermando il potere di pressione di questo strumento.
Assai efficace l'epigrafe premessa al saggio. Una riflessione di Leonardo Sciascia che anticipa una critica oggi attualissima: la crisi della rappresentanza e il bisogno di partecipazione diretta.
"Considero i referendum come gli avvenimenti più democratici mai verificatisi in Italia. Quelli che hanno dato veramente un'immagine di questo paese che non si ha mai attraverso i risultati delle elezioni politiche o amministrative. Da queste si ha un paese in cui nulla si muove, tutto è uguale, si è contenti di come vanno le cose. Dai referendum - anche da quelli persi - si ha invece l'immagine che c'è in questo popolo l'ansia di mutare qualcosa".
Nel saggio "L’errore democratico: Il problema del destino dell’Occidente", Erik von Kuehnelt-Leddihn sviluppa una critica sistematica della democrazia moderna, considerata non come garanzia di libertà, ma come potenziale veicolo di oppressione. L’autore, da una prospettiva aristocratica e cattolica, individua nella tensione tra libertà ed eguaglianza il nodo irrisolto della modernità politica. Le epigrafi poste in apertura dei capitoli svolgono una funzione ermeneutica: introducono i temi trattati e li collocano in una tradizione intellettuale che va da Rosmini a Proudhon, da Platone a Claudel.
Nel primo capitolo, Rosmini denuncia la “tirannide della maggioranza”, anticipando la riflessione sull’ambiguità della sovranità popolare. Il secondo capitolo, dedicato al rapporto tra democrazia e totalitarismo, si apre con una citazione di Schaukal che ironizza sulla confusione tra pluralismo e libertà, mentre il terzo, più esplicitamente critico, utilizza un verso di Robinson per evocare la deriva collettivista della democrazia parlamentare. Nei capitoli successivi, Claudel e Proudhon introducono rispettivamente una riflessione sull’autorità politica e sull’influenza della religione nella formazione delle culture politiche.
Queste scelte testuali non sono casuali: esse rafforzano la tesi dell’autore secondo cui la democrazia, se non sorretta da un ethos solido e da istituzioni resilienti, può degenerare in forme di governo illiberali. Tale intuizione trova conferma nelle dinamiche del XXI secolo, in cui regimi autocratici sono emersi proprio attraverso strumenti democratici. La partecipazione indiscriminata di tutte le forze politiche, comprese quelle apertamente antidemocratiche, ha spesso condotto all’erosione delle garanzie costituzionali e alla concentrazione del potere. In questo senso, l’opera di Kuehnelt-Leddihn, pur scritta in un altro contesto storico (il saggio è del 1952 ed è stato tradotto in italiano solo nel 1966), si rivela sorprendentemente attuale, offrendo una chiave di lettura critica per comprendere le fragilità strutturali delle democrazie contemporanee.
Sessant’anni fa, Maurice Duverger denunciava una democrazia francese svuotata di partecipazione popolare, dominata da partiti deboli e da un centrismo paralizzante. In "La democrazia senza popolo", l’autore descriveva un sistema in cui le élite politiche prendevano decisioni senza un reale coinvolgimento della cittadinanza, trasformando la democrazia in una forma senza sostanza.
Secondo Duverger, la principale originalità della vita politica francese risiedeva proprio in questa combinazione: partiti fragili e un sistema centrato che impediva la formazione di alternative politiche forti. Le coalizioni centriste isolavano gli estremi e ostacolavano la nascita di veri partiti di destra e sinistra, riducendo la possibilità di una scelta politica significativa da parte dei cittadini. Una via d’uscita, però, veniva prospettata: la costruzione di due grandi alleanze popolari, una di sinistra e una di destra, che permettessero una reale alternanza e un controllo effettivo da parte della base militante. Solo così, secondo l’autore, si sarebbe potuto superare il modello centrista ed elitario e avvicinarsi a una democrazia sostanziale.
Oggi il quadro si è trasformato, ma non necessariamente in meglio. Se allora il problema era l’assenza del popolo, nel ventunesimo secolo assistiamo a un fenomeno opposto ma altrettanto preoccupante: la presenza ingombrante di un “popolo” evocato da movimenti populisti e nazionalisti, che si presentano come autentici rappresentanti della volontà popolare, ma che spesso minano le basi stesse della democrazia liberale. In nome della rappresentanza diretta, si riducono le garanzie, si delegittimano le istituzioni intermedie e si concentra il potere in forme sempre più autocratiche.
Il pendolo della democrazia oscilla così tra due estremi: da un lato, élite tecnocratiche e autoreferenziali che governano senza popolo; dall’altro, leader carismatici che parlano in nome del popolo ma svuotano la democrazia delle sue tutele fondamentali. In entrambi i casi, la rappresentanza è in crisi, e con essa l’equilibrio tra libertà e partecipazione.
In occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione, una selezione di alcuni volumi del catalogo "Bigiavi"
Saggio pubblicato nel 1969 a cura della deputazione Emilia-Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di Liberazione. Comprende numerose riproduzioni di manifesti e documenti.
Il volume contiene anche il primo manifesto del Sindaco Giuseppe Dozza.
La storia della 63a brigata "Bolero", "in larga parte la vita e la morte del suo comando di brigata, più volte distrutto e sempre risorto con più tenacia e risolutezza nel combattere la lotta antifascista".
Il libro, che contiene molte immagini e quattro disegni di Mario Nanni, è uscito nel 1965 per le Edizioni Alfa di via Santo Stefano 13.
Porta Lame nell'inverno 1944-45.
Il bombardamento di Bologna del 25 settembre 1943. Il volume fa parte della collana "Il servitor di piazza. Storia, costumi e tradizioni".
Tra i capitoli più interessanti di questo saggio del 1965: "Pulsate et aperietur vobis: memorie dalle case italiane ove si parlava forestiero". "Se (...) organizzazioni vere e proprie per favorire la fuga ai prigionieri alleati dai campi di concentramento non esistevano (...) ne furono create appositamente per assisterli e porgere loro tutto l'aiuto possibile."
Didascalia originale: "Le prime lusinghe naziste per indurre gli italiani a denunciare i prigionieri alleati. A Modena il manifesto comparve nella prima metà del settembre 1943".
"Il movimento di Liberazione a Ravenna", a cura di Luciano Casali. Pubblicato sotto l'egida del Comitato per le Celebrazioni del XX annuale della Resistenza Ravenna.
Giornali clandestini stampati nella provincia di Ravenna.
Tra i contributi di questa raccolta di saggi del 1976: "L'attività economica del CLN", "La liberazione del forlivese", "La repubblica di Montefiorino".
Questo volume del 1995 si distingue per "l'apertura della ricerca alle nuove tematiche del sociale e del vissuto quotidiano" e per il conseguente ampliamento dell'apparato documentario.
Una pubblicazione dell'ANPI in occasione del sessantennale.
Bologna 26 luglio 1943. I cittadini bruciano le foto del dittatore davanti al Palazzo del Podestà.
Un volume del 1957 sulla lotta sostenuta dalla 28a Brigata Garibaldi per la liberazione di Ravenna.
Dedica e citazioni per il libro di Guido Nozzoli uscito nel 1957 per Editori Riuniti.
In un clima di guerra commerciale globale, riproponiamo questo volume del 1893 di cui è autore Ugo Rabbeno (1863-1897), economista noto per aver contribuito significativamente alla teoria economica e alla promozione delle cooperative in Italia e in Europa.
A detta dell'autore esiste un forte contrasto, nel campo del commercio internazionale, tra la teoria economica e la realtà dei fatti. Mentre la teoria del commercio internazionale (che ha avuto tra i suoi maggiori sostenitori Smith e Ricardo) proclama l'armonia e la solidarietà degli interessi tra i popoli, la storia mette in scena uno spettacolo di antagonismi e lotte dannose e persistenti, dominato prima dalla politica mercantilistica e dal sistema coloniale e a seguire dal protezionismo.
L'intento dello studio, come si evince dalle prime pagine, è quello di analizzare la politica commerciale inglese nelle colonie nord-americane, partendo dalla convinzione che la teoria astratta del commercio internazionale sia incompleta e necessiti di essere confrontata con la realtà storica. Rabbeno si propone quindi di fornire una ricostruzione induttiva della teoria del commercio internazionale, studiando le leggi del commercio coloniale e cercando in esse indicazioni concrete che aiutino a comprendere le cause, i vari movimenti storici della vita economica e l'adozione di un determinato sistema di politica commerciale.
Particolarmente interessante, in particolare perché si tratta pur sempre di uno studio del 1893, il capitolo VII del volume intitolato "Libero scambio e protezionismo nella storia degli Stati Uniti d'America". Rabbeno vi analizza principalmente l'alternanza tra politiche di libero scambio e protezionismo nella storia economica americana. Viene sottolineato come il periodo successivo all'indipendenza sia caratterizzato da un'inclinazione verso il libero scambio, nonostante le indubbie difficoltà, destinata però a soccombere al protezionismo doganale, considerato inevitabile per lo sviluppo manifatturiero specialmente durante la guerra .
Il capitolo approfondisce poi le diverse opinioni tra le classi sociali riguardo al libero scambio e al protezionismo, evidenziando come gli interessi dei produttori e dei lavoratori spesso divergono da quelli dei consumatori e degli agricoltori. Nell'ultimo periodo considerato dall'autore, il protezionismo sembra essersi radicato, nonostante le difficoltà che continua a causare, e la questione doganale assume un'importanza cruciale nel conflittuale dibattito economico americano.
Una rassegna di alcuni titoli dell'autore del Manifesto di Ventotene posseduti dalla "Bigiavi"
1957. Spinelli, che è tra i più convinti e preparati assertori dell'idea di un'Europa federata, traccia, in questo volumetto della « Clandestina », le possibili linee — politiche, economiche, giuridiche, sociali — del futuro volto degli Stati Uniti d'Europa.
"La collana la chiamiamo "Clandestina" perché a niente, come a ciò che è libero e spregiudicato, il mondo odierno minaccia vita difficile, clandestina insomma".
1960. Questo libretto non è stato scritto per compiacere questa o quella corrente politica prevalenti nel mondo. Esso è più severo verso quella cui mi sento legato ed al cui successo vorrei contribuire, ma mipermetto di dire, come lo storico Dahlmann, che "lo mando nel mondo con la speranza che dispiaccia a tutte le sette politiche". (dalla Prefazione)
1965. Il libro analizza il funzionamento pratico delle Comunità europee, prestando particolare attenzione alle relazioni sociali e politiche tra l'amministrazione europea a Bruxelles e i centri di potere negli Stati membri.
1968. "I capitoli di questo libro trattano di alcune cose accadutemi, viste, sentite o meditate durante la mia prigionia politica" (dall'Introduzione).
1983. E' assai probabile che la mia età avanzata non mi consentirà di accompagnare ancora per molto tempo questa azione. Ma quando rifletto che oggi il primo, Parlamento europeo eletto sarebbe assai diversa cosa da quel che è, se non avesse assunto il ruolo costituente di cui vi ho parlato, e quando penso che tutta la mia ormai lunga vita di partigiano europeo è sboccata questa azione, non posso fare a meno di mormorare e me stesso con una tal fierezza le parole di San Paolo: bonum certamen certavi, cursum consummavi.
1985. Due saggi — Gli Stati Uniti d'Europa e le varie tendenze politiche, e Politica marxista e politica federalista — insieme al Manifesto, costituiscono il nucleo centrale del progetto europeo di Spinelli. Questo si è via via arricchito con nuove riflessioni sulla natura delle costituzioni federali, sui tentativi di realizzare l'unità europea, sul ruolo del Movimento Federalista Europeo nella battaglia per l'unificazione del vecchio continente.
1989. Come ha osservato Norberto Bobbio nel suo saggio «Il federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza», ciò che distingue in modo nettissimo l'approccio di Spinelli al federalismo europeo è l'impegno a trasferire l'idea della federazione europea sul terreno dell'azione, a trasformarla, cioè, in azione politica.
1989. Altiero Spinelli dedicò la sua vita alla causa dell'unità europea, documentando la sua lotta dal 1948 al 1969 in un diario. Questo volume raccoglie le sue esperienze, incontri e riflessioni durante i momenti più difficili della battaglia per un'Europa unita. Ne seguono altri due, che raccontano gli anni 1970-1976 e 1976-1986.
1996. Nel settembre 1944 Spinelli rientrò in Italia dalla Svizzera aggregandosi al gruppo dirigente milanese del Partito d'azione; dai documenti politici, dagli articoli e anche dalle lettere a Ernesto Rossi ritrovati da Graglia emerge il ruolo fondamentale giocato da Spinelli e dalla sua visione federale e transnazionale nell'elaborazione delle posizioni dell'azionismo "di sinistra".
2004. L'evoluzione dell'idea di un'Europa unita, dal celebre Manifesto di Ventotene fino all'espansione dell'Unione Europea a 25 membri. Il volume comprende, tral'altro, un contributo di Norberto Bobbio, la postfazione di Romano Prodi e l'intervista a Spinelli di Sonia Schmidt.
Del co-autore del Manifesto di Ventotene, Altiero Spinelli, la biblioteca ha raccolto nel tempo un’interessante collezione di volumi. Questo volumetto pubblicato da Guanda nel 1957 segue cronologicamente “Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto” (1941) e fa parte della “Collana clandestina” dell’editore parmense.
Il manifesto, redatto da Altiero Spinelli nel 1957, si presenta come una risposta urgente e necessaria al panorama politico europeo del tempo. Il punto di partenza è una decisa opposizione alle "pretese abusive dei nostri stati nazionali" e a un "falso europeismo", percepiti come ostacoli a una vera unità continentale. In contrapposizione a queste forze, il manifesto proclama l'urgenza di una "corrente politica nuova", incarnata dalla federazione europea.
Questa non è intesa come una semplice evoluzione delle forme politiche esistenti, ma come una rottura radicale, con l'ambizione di incidere profondamente sulla storia europea. L’autore considera le forze politiche del tempo come intrinsecamente inadeguate, usando espressioni che suggeriscono una sorta di fallimento o "farsopola di un'ennesima dottrina sociale".
La federazione europea viene presentata come la soluzione per superare i limiti degli stati nazionali, divenendo l'espressione autentica e unitaria del popolo europeo. Solo attraverso una struttura federale, si argomenta, sarà possibile implementare politiche efficaci e coordinate, sia a livello interno che esterno, rispondendo così alle reali esigenze del continente e costruendo un futuro più solido e unitario per l'Europa.
Di nessuna attinenza con le collezioni di una biblioteca di discipline economiche, dallo scaffale "I" fa capolino un saggio che indaga il legame tra il cinema e la rappresentazione dell'amore e dell'erotismo. Pubblicato nel 1957 (questa è la prima edizione), il libro racconta la predilezione del cinema (e di Kyrou) per i temi legati al desiderio, alla passione e all'intimità, con uno sguardo particolare alle evoluzioni estetiche e culturali dei film dell'epoca. Kyrou, noto per il suo interesse per il surrealismo e il cinema, esamina come le immagini cinematografiche abbiano influenzato la percezione della sessualità e del corpo umano, discutendo anche della censura e dei tabù sociali che hanno accompagnato la rappresentazione dell'erotismo sul grande schermo.
Ado Kyrou (1922-1985) è stato un intellettuale e critico cinematografico francese. Appartenente al movimento surrealista, ha esplorato la sessualità e il desiderio attraverso la lente psicoanalitica ma con un approccio personale. Ha avuto un'importante carriera come scrittore e critico, collaborando con riviste d'avanguardia e influenzando la critica cinematografica francese del dopoguerra.